Il testamento spirituale di Mac Miller

Articolo di Alessandra Testori

20.01.2019

“Circles” è una confessione sussurrata. Il sesto disco di Mac Miller, uscito postumo venerdì, si comporta come un bilancio in negativo, una resa dei conti con se stesso. In qualche modo, anche se Mac non se ne fosse andato, “Circles” sarebbe comunque stato un disco postumo: è la testimonianza di una morte interiore che, a quanto pare, aveva preceduto la morte fisica. Una corrosione dell’anima, ma non certo dell’arte: la portata artistica di questo lavoro è straordinaria. Mac aveva intuito che le verità più intime si manifestano attraverso sonorità semplici,  essenziali, con una spontaneità quasi infantile o perlomeno inconscia.

Deve averlo capito anche Jon Brion, il produttore che l’ha affiancato durante la composizione dei primi tratti delle canzoni e che si è assunto la responsabilità, insieme al privilegio, di ultimare il lavoro cercando di rimanere quanto più fedele possibile alle suggestioni di Mac. E sembra esserci riuscito: le basi leggere sono soltanto un appoggio per l’intensità delle parole, i ritmi sono dilatati, a tratti ipnotici, la voce è imperfetta e talvolta incerta; queste caratteristiche, dovute all’assenza di Mac e volutamente mantenute da Brion, delineano uno stato di incompiutezza totalmente in sintonia con lo stato emotivo espresso nei testi.

La natura imprecisa con cui si manifesta il contenuto del disco appare ben presto l’unica modalità  espressiva possibile. Malcolm si rifugia nei sogni per fuggire dal caos di una realtà priva di un significato plausibile ma, nel totale smarrimento, si ritrova prigioniero dei sui stessi pensieri; stanco di essere stanco, vive giorno per giorno un letargo perenne, chiedendosi se nel paesaggio della morte “it feel like summer”.

Se Mac fosse ancora qui, questo disco sarebbe il sigillo di una fase della sua vita, la manifestazione della morte di una parte di sé, cui probabilmente avrebbe corrisposto un cambiamento spirituale. Ma nessun disco seguirà “Circles”, e l’identità interiore di Mac Miller rimarrà sospesa nel momento appena precedente all’epifania, in un’eterna dissoluzione che si conclude nel suo stesso principio —come nel disegno di un cerchio.

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